
Visita al cimitero monumentale del Verano
La mia amica Raffaella Terribile, esperta di Storia dell’Arte, me ne aveva elogiato le meraviglie artistiche e architettoniche qualche mese prima del mio viaggio a Roma. Quando lo visitai ne colsi immediatamente la magia e le fui grata. Il Cimitero Monumentale del Verano è enormemente esteso, i sepolcri di persone famose nei diversi ambiti abbondano, tuttavia si è scelto di non dare indicazioni precise, la segnaletica è scarsa, le numerazioni delle tombe a terra e delle cappelle sono rare. Risultato: per trovare chi cerchi devi impegnarti, accettare la sfida. Quando sono entrata il luogo mi ha parlato da subito, suggerendomi di non ostinarmi a cercare una precisa sepoltura e, invece, di guardarmi attorno, respirare l’atmosfera di bellezza naturale e artistica che vi regna. La folta, elevata, vegetazione tipicamente romana, di pini e cipressi, lo circonda e si affaccia dalle mura. Una volta entrata ti fa da cornice, l’ombra è poca, devi resistere al caldo pomeriggio del primo giorno di giugno nella capitale. Individuo subito le pitture su pietra lavica di Filippo Severati, che spiccano anche in lontananza, per la vivacità, densità di colori. Avvicinandomi ne ammiro la perfezione dei lineamenti. Ricordano le antiche raffigurazioni dei defunti di Al Fayyum, incredibilmente espressive e moderne. Si tenta, in entrambi i casi, di conservare l’immagine viva del defunto. In particolare mi colpiscono i volti di bambini molto piccoli dipinti da Severati, la tristezza rassegnata che esprimono, seri e composti. Alla mia sinistra una scultura potente, che si staglia contro il cielo azzurrissimo, solcato da nuvole nitide e coronato da alti cipressi. Rappresenta ‘ l’eroe della patria’, Goffredo Mameli.
Goffredo Mameli.
Il suo corpo non è stato sotterrato qui, ma gli è stata dedicata un’opera scultorea magnifica, armoniosa, e una lapide con incise le parole di Giuseppe Mazzini, che predice che in Roma, nel “camposanto dei martiri della nazione”, un posto d’onore verrà a lui assegnato. A lui che dorme, dolcemente, la mano sinistra appoggiata sul petto, il braccio destro abbandonato a lato, qualcuno ha messo in mano un mazzetto di fiori lilla che trattiene, sereno ma anche grandioso. Una lunga coperta lo cinge, cadendo con ricche pieghe, quasi fosse lo strascico di una sposa. Un’ immagine romantica, sognante, commovente. Non può sentire il peso dell’incertezza, della divisione, delle lacerazioni che accompagnano oggi le sorti del nostro paese, come del mondo. Sullo stesso lato, più avanti, un giovane bellissimo, il braccio appoggiato a un cuscino, il capo inclinato su una spalla, ha un richiamo angelico, una donna gli ha donato una rosa, bianca bordata di rosa intenso, che tiene appoggiata sul ventre. “Prematuramente fu rapito Cesare carissimo”, leggo.
Giovane con la rosa
Ogni sepolcro è adorno di statue e di fregi e contiene le storie di una o più vite. Questa prima parte del cimitero, principalmente ottocentesca, incanta per la ricchezza e originalità dei soggetti, tra cui tanti angeli, addolorati, austeri, intimanti, o dolcemente assorti. Ecco un angelo bambino baciare la defunta, una giovane donna. Sono già nei bei portici del quadrilatero. Una madre, elegantemente abbigliata, abbraccia il figlioletto, che si protende verso di lei. Una bella giovane donna solleva una tenda, per fare comparire il volto di un uomo più anziano: “Con la vital favilla la tua diletta immagine si parte”. Un putto, inconsolabile, osserva imbronciato un mazzetto di piccoli fiori che porta nella mano. Più avanti, una fanciulla dorme sotto un ricchissimo baldacchino. L’impulso di cercare qualcuno che amo da sempre mi prende, esco dal quadrilatero e mi dirigo verso la zona chiamata ‘ampliamento’. So il numero del riquadro in cui si trova la tomba. La ricerca è laboriosa, si sale, si volta a destra, poi a sinistra, di nuovo la salita. Una coppia più giovane e un signore bizzarro si affiancano a me e a mio marito nella ricerca. Davvero improba, poiché nemmeno le numerose corsie sono contrassegnate da numeri. Una mano pietosa ha scritto il numero 143 su un’ insegna, con il pennello. In cinque si vede meglio che in due, ed ecco raggiunta la mia meta: la tomba a terra di Vittorio De Sica, grande maestro di cinema, animo nobile, che ha saputo rappresentare l’umanità ferita dalla guerra, dalla povertà, dalla solitudine … Ma anche riportare il sorriso e la voglia di vivere in tanti che hanno goduto del suo cinema. La tomba è semplicissima, me lo aspettavo, senza fotografie, circondata su tre lati da una siepe di rosmarino dal gradevole, intenso profumo. “Sei un padre, per me, sono commossa di trovarti così, semplice e vero, come ti ho sempre immaginato.”Glielo dico in silenzio. Nella fila dietro scorgo la tomba, ugualmente semplice e silenziosa, di Massimo Girotti, attore di culto della mia infanzia. Gli occhi chiari e profondi, la voce suadente, quanti ricordi! Lui, il bello-buono, ma anche il bello-maledetto in “Ossessione” di Luchino Visconti. Decine di film con i registi più importanti e un’ intensa attività teatrale. Lo saluto con viva commozione. Molto più lontano, dentro il ‘Colombaio', dorme un poeta morto giovanissimo di tubercolosi: Sergio Corazzini. Sulla lapide si legge: “Per chi ricorda Sergio Corazzini, poeta, a vent’anni, il 17 giugno 1907.” Io lo ricordo. Avevo diciassette anni e leggevo di un ragazzo che amava la vita ma che non poteva evitare di tendere alla morte. “Perché tu mi dici: poeta? Io non sono un poeta. Io non sono che un piccolo fanciullo che piange” e ancora “Oh, io sono veramente malato! E muoio, un poco, ogni giorno. Vedi: come le cose … Io so che per essere detto poeta conviene vivere ben altra vita. Io non so, Dio mio, che morire”. Quanto avrei voluto conoscerlo, ragazzina, come lui, per poterlo ascoltare, consolare. Leggevo i suoi versi e versavo le sue stesse lacrime. La tomba del grande Giuseppe Ungaretti, si trova nel reparto chiamato Arciconfraternita, a cui si accede da una scalinata. Ha una lapide bianca, attraversata da un crocifisso, su cui compare in rilievo il nome del poeta , quello della moglie Jeanne Dupoix e della figlia Anna Maria, detta ‘Ninon', morta novantenne nel 2015. Ai piedi della lapide un grande vaso rettangolare su cui poggiano altri vasi più piccoli, che contengono fiori di campo. Creano un’atmosfera calda, antica, serena.
Lo scopo della visita non è stato solo il desiderio di conoscere un luogo grande come un paese pieno di sepolture artistiche, ma anche di recare un saluto a chi ha lasciato segni forti, indelebili, nella mia formazione di persona. Dovrò quindi tornare, c’è ancora un universo di luoghi e di spiriti rimasto inesplorato, che parlano di un passato traboccante d’arte e di sapienza, di un’umanità sensibilissima, d’altri tempi, che contrasta con la confusa e cieca crudezza del presente. Saluto, uscendo, le belle statue che accolgono all’entrata dell’edificio, esternamente. Rappresentano rispettivamente la Speranza, la Meditazione, la Preghiera, il Silenzio. Carica di suggestioni e ammonimenti, mi dirigo verso la straordinaria Basilica di San Lorenzo Fuori le Mura, al lato sinistro del cimitero, per riposarmi, concentrarmi e riflettere sull’esperienza vissuta. E mi tornano alla mente i versi del grande poeta, che risuonano come una preghiera e al tempo stesso un monito rivolto al presente:
Cessate di uccidere i morti,
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire
se sperate di non perire.
Hanno sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell’erba,
lieta dove non passa l’uomo . (Giuseppe Ungaretti, Il dolore)
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